Dieci anni con La Venaria Reale. Dieci anni dalla riapertura al pubblico della reggia e che fanno il paio con i venti dal 1997, anno in cui l’Unesco inserisce il sito nell’elenco dei patrimoni dall’umanità. In quei giorni di fine millennio ci si comincia a rendere conto di possedere, alle porte di Torino, un gioiello unico al mondo. Un gioiello da recuperare, dopo anni di suo uso per scopi militari (fino al 1978) e un successivo abbandono, con inevitabile degrado. Così, nel 1999, si apre il cantiere del progetto La Venaria Reale, su impulso del ministero ai Beni e alle Attività culturali e della Regione Piemonte, coinvolgendo la Comunità Europea a livello internazionale e amministrazioni ed enti vari a livello locale. I lavori alla reggia sono considerati la più grande opera di recupero e conservazione di un bene culturale a livello continentale. E l’inaugurazione del 13 ottobre 2007 restituisce un tesoro fatto di 80.000 metri quadri di edificio monumentale e di 60 ettari di giardini. Dieci anni, per l’appunto, con una festa che scandirà tutto il 2017.
Se abbiamo Venaria Reale, lo dobbiamo ai Savoia. Nello specifico il duca Carlo Emanuele III e la sua consorte Maria Giovanna Battista di Savoia Nemours. Il sovrano pensa a un edificio che possa essere, al tempo stesso, residenza estiva per feste e ricevimenti e base per le battute di caccia, passione di corte: di qui il nome, Venaria. Individua una zona a nord di Torino, dove si trovano (siamo oltre la seconda metà del Seicento) i paesi di Altessano Superiore e Inferiore, che acquista dalla famiglia Birago. E, come tutti i Savoia che lo hanno preceduto – e che verranno –, affida i lavori a un grande architetto. Se ne occupa Amedeo di Castellamonte, figlio di Carlo, che ha già messo mano a Palazzo Reale, a Villa della Regina e alla Cavallerizza. Il progetto è grandioso perché non comprende soltanto la nuova realizzazione ma si allarga al borgo preesistente, ai terreni e ai boschi circostanti.
Un’operazione che, nella parte fondamentale della struttura, va dal 1658 al 1679. E un cantiere che viene ereditato da Vittorio Amedeo II – prima duca e poi re – e dagli architetti che chiama a corte. Prima Michelangelo Garove, autore del palazzo Asinari di San Marzano (quello che, in via Maria Vittoria, ospitava la sede della Carpano), che si ispira a Versailles per ridisegnare i giardini alla francese. Quindi tocca al geniale Filippo Juvarra, che nel primo Settecento pone mano in maniera inconfondibile in realizzazioni come la Scuderia Grande, la Citroniera, la cappella di Sant’Uberto (patrono dei cacciatori) e la splendida Galleria Grande. L’ultimo è Benedetto Alfieri che, sotto Carlo Emanuele III, realizza le gallerie di comunicazione e progetta il Rondò con le statue delle stagioni.
La reggia di Venaria è stata per lungo tempo uno dei luoghi preferiti dai Savoia, che amavano girare per la varie proprietà durante la bella stagione: vi si recavano anche dopo la nascita dell’omologa Palazzina di caccia di Stupinigi (realizzata tra il 1729 e il 1733), pensata più come luogo che di rappresentanza che di accoglienza. La decadenza del luogo comincia con le invasioni francesi e con il periodo napoleonico, anni in cui anche gli spazi più belli vengono demoliti oppure stravolti per fare largo al nuovo dominatore. Avviene pure a Venaria, dove i giardini sono distrutti e trasformati in piazza d’armi per i movimenti dei soldati lì ospitati. Una nuova destinazione d’uso che prosegue con il ritorno dei Savoia diventando, come detto, uno spazio riservato ai militari fino al 1978.
Oggi La Venaria Reale è uno dei siti museali più popolari, non soltanto in Italia. Nel 2016 è stata visitata da oltre un milione di persone, che hanno potuto ammirarne il perfetto inserimento nell’ambiente e la bellezza della struttura. Su tutti la spettacolare Galleria Grande, che collegava gli appartamenti del sovrano e del suo erede. Juvarra ha regalato una manica lunga 80 metri (larga 12 e alta 15) in cui 44 finestre offrono giochi di luci spettacolari. E poi la Sala di Diana, che ospitava ricevimenti e banchetti, con le pitture del fiammingo Jan Miel. Ancora: la cappella di Sant’Uberto, singolarmente priva di cupola per la presenza dei vicini palazzi; gli spazi per esposizioni della Citroniera (dove venivano ospitate le piante ornamentali di agrumi) e della Scuderia grande, che un tempo era residenza di 160 cavalli e oggi custodisce il Bucintoro, la galea d’onore dei dogi, realizzato a Venezia tra 1729 e 1731 su richiesta di Vittorio Amedeo II (è l’unico originale tuttora esistente); gli splendidi Giardini a terrazzo con le loro fontane.
Un gioiello che vivrà un 2017 di eventi celebrativi. Si comincia il 18 marzo, giorno di riapertura al pubblico dopo la chiusura per la manutenzione ordinaria. Ed è un inizio col botto, visto che la Citroniera apre le porte a “Caravaggio Experience”, ovvero un percorso a più dimensioni – sulle orme di quanto già fatto per Van Gogh – tra le 57 opere del sommo maestro del Seicento. Da non perdere “Dalle regge d’Italia. Tesori e simboli della regalità sabauda”, pensata appositamente per il decennale: 130 opere legate a casa Savoia e provenienti dalle più importanti regge nazionali. Possono essere ammirate dal 25 marzo al 2 luglio. E quindi: “Ercole e il suo mito”, le foto di Peter Lindbergh, il Galà di Ferragosto, le feste a tema e tanti altri appuntamenti, per vivere appieno un tesoro di cui andare orgogliosi.